Si sa che in Cina il diritto d’autore è, nella migliore delle ipotesi, interpretato in maniera faziosa e discutibile, quando non è ignorato del tutto, specialmente se si tratta di proteggere copie locali di materiale ideato e sviluppato all’estero. E’ una distorsione del mercato che i partner occidentali ancora non affrontano in maniera decisa, timorosi di perdere l’enorme mercato cinese che si sta formando adesso dopo decenni di deprimente comunismo autarchico.
Nel mio piccolo posso citare il caso di Bang!, che nonostante abbia la propria distribuzione ufficiale (da parte della Swan PanAsia) è stato ed è tuttora oggetto di concorrenza dubbia (per non dire altro) da parte della Yoka Games.
La storia più o meno è questa.
Nel 2006, cioè quattro anni dopo l’uscita ufficiale di Bang!, un gruppo di tre grandi appassionati del gioco, tali Du Bin, Huang Ki e Li You che si fanno chiamare collettivamente KayaK, notano (racconta Carl Johan Ragnarsson, amico personale di uno di loro) che il gioco diverte e funziona, ma ha due problemi per i Cinesi: l’ostacolo della lingua, che nonostante le icone costringe a spiegare gli effetti delle carte, e l’ambientazione Western, non proprio congeniale ai gusti e alle conoscenze dell’Estremo Oriente.
I tre decidono così di cambiare l’ambientazione, lasciando praticamente inalterato il gioco. L’ispirazione viene dal libro più famoso in Cina, l’equivalente della Divina Commedia da noi: le Cronache (o Leggenda) dei Tre Regni, in Cinese San Guo Sha (letteralmente: Gli assassini — Sha — dei tre regni). La Birra diventa così la Pesca, gli Indiani i Barbari, le armi quelle tradizionali dell’epoca, il Panico un detto cinese che recita “abbandona il tuo amico quando non hai più bisogno del suo aiuto”, la Prigione un altro detto cinese (“lasciarsi ai piaceri e dimenticare i propri doveri”), i personaggi cambiano di nome e di aspetto e così via.
Inutile dire che questa nuova versione trova il consenso di tutti i giocatori locali: il gioco rimane lo stesso, ma invece di quegli antipatici e invadenti yankee americani ora ci sono gli eroi delle leggende cinesi (ricordiamoci che i Cinesi sono un popolo ultranazionalista e contrario a ogni integrazione: basta vedere le varie Chinatown sparse per il mondo, ostentatamente diverse dal resto della città).
I magnifici tre fondano quindi la Yoka Games per l’occasione e pubblicano disinvoltamente il gioco nel 2008, senza chiedere permessi o pareri né alla dV né a me, ed è un immediato successo stratosferico in patria: entrato sul mercato praticamente come l’unico gioco cinese nuovo (si fa per dire), vende milioni di copie; a Pechino spuntano come funghi i locali con sale dedicate al gioco; ne parlano i giornali, la TV, la radio, è un vero e proprio fenomeno sociale; la versione online del gioco ha 120 milioni di iscritti.
Il problema è che il gioco, ambientazione a parte, è (pressoché) identico a Bang!: le modifiche sono estremamente marginali e riguardano più che altro le abilità di qualche personaggio (a mio parere modificate pure in peggio: testi convoluti e sbilanciati lunghi anche 15 righe, un pessimo esempio di come progettare personaggi). Non c’è stato nessuno sforzo serio di game design per cambiare le meccaniche: le carte di gioco, a parte qualche abilità in più di alcune armi, sono tutte identiche; paradossalmene, nonostante il gioco sia ambientato nel II-III secolo d.C, le carte presentano nell’angolo i semi delle carte da Poker!
Mi pare chiaro che siamo di fronte non a un’imitazione, né a un’evoluzione, ma piuttosto a un’operazione eticamente scorretta che fa affidamento sull’impunità che la Cina garantisce ai propri sudditi, qualunque cosa facciano in campo di copyright.
Aggrapparsi al ragionamento che “tutti si ispirano da qualcosa fatto nel passato” non funziona: un conto è prendere una regola o un’idea, come ha fatto Bruno Faidutti con il suo Citadels derivato da un bellissimo meccanismo presente in Varräter, sviluppando poi il gioco in maniera originale, un altro è prendere di peso il 95% di un gioco e cambiargli solo il vestito e pochissimo altro. Nel gioco ci sono tutte le caratteristiche peculiari di Bang!, ma proprio tutte: la distanza, i personaggi con abilità speciali (alcune precisamente uguali), i ruoli semi-nascosti esattamente identici compreso il curioso obiettivo del Rinnegato/Traditore, il meccanismo Bang!/Mancato, la Birra che si può usare fuori turno, le Armi, l’”estrarre!”, praticamente tutte le carte con i medesimi effetti (Panico, Cat Balou, Indiani, Gatling, Emporio, Duello, Dinamite, Mustang…). Nella prima edizione interi passi del regolamento originale di Bang! sono copiati alla lettera.
Non venite a dirmi che è “ispirato”: è copiato, a meno di avere una concezione di “ispirazione” e di “copia” molto elastica.
(Segue)
La dV, prima di distribuire Bang! in Cina, ha cercato di mettersi d’accordo con la Yoka, ma la risposta è stata sempre negativa: secondo loro, il gioco è “diverso” (sic) e la dV non può accampare nessun diritto. E quanto questa posizione sia debole è dimostrato dal fatto che gli avvocati della dV sono riusciti, persino con tutte le difficoltà di affrontare un processo del genere in Cina, a far ritirare le copie distribuite a Singapore e Hong Kong, puntando sul plagio delle regole che è stato riconosciuto addirittura dai giudici cinesi. Naturalmente però nella Cina continentale la Yoka è in una botte di ferro ed è impensabile riuscire nello stesso intento a Pechino o Shangai…
La questione è stata analizzata da un avvocato spagnolo, Jorge Sanz, che nel 2010 ha elaborato una tesi di dottorato in Cina proprio sulla diatriba Bang!-SanGuoSha (il che la dice lunga sul successo del gioco da quelle parti). Nel suo scritto Sanz calcola che il 90-95% del gioco cinese sia uguale (non simile) a Bang!. Ma è significativo il suo esperimento: dopo aver spiegato entrambi i giochi ad alcuni Cinesi, ha chiesto se ritenessero etico il comportamento della Yoka, e quale dei due giochi fosse migliore. Le risposte sono state, dal mio punto di vista, sconfortanti: la Yoka si era comportata in maniera perfettamente corretta, perché in Cina la copia e il plagio è comunque una via per l’illuminazione (magari meno nobile rispetto ad altre, ma valida). In più, fra i due giochi SanGuoSha era indubbiamente migliore innanzitutto perché presentava un’ambientazione più consona ai loro gusti, e poi perché “è cinese”.
E’ chiaro quindi che non è possibile aspettarsi dai Cinesi un’etica del commercio e del diritto d’autore come pensiamo sia logico.
Nel frattempo il gioco continua a mietere successi e traguardi. Si stima che abbia venduto fra i 10 e i 15 milioni di copie solo in Cina. Sono nati giochi cinesi palesementi copiati da SanGuoSha, veri cloni dei cloni, e contro di questi la Yoka ha mosso i tribunali locali (ah, ma allora quando fa comodo la copia non è più una via per l’illuminazione…).
Il Politecnico di Pechino ha proposto un corso di “strategia di SanGuoSha”, e persino l’Università di Berkeley ha approvato un corso semi-autogestito sulla storia della Cina incentrato attorno a SanGuoSha su proposta di uno studente di origini cinesi, appassionato giocatore. Questa notizia è subito rimbalzata in Cina dove i giornali locali hanno fatto orgogliosamente presente che un gioco cinese (“simile al moderno Bang!”, come se Bang! fosse recente e SanGuoSha fosse un gioco tradizionale) veniva utilizzato in una delle più prestigiose università americane.
Ma non è finita: nel 2011 nasce la Ziko Games negli USA con l’obiettivo, cito testualmente, “di portare La Leggenda dei Tre Regni ai giocatori del Nord America”, acquisisce i diritti dalla Yoka (che non vedeva l’ora) e inizia a distribuire il gioco negli Stati Uniti, dove però si spera sia possibile poter far valere i propri diritti.
Perché tante difficoltà e tanti dubbi su come andrà a finire? Perché la legislazione sul gioco è ancora ampiamente deficitaria, perfino in un paese avanzato da questo punto di vista come gli Stati Uniti (in Europa è anche peggio). Ma di questo parlerò in un prossimo post