La differenza fra imitazione e copia

Come più volte detto Bang! è oggetto di una causa intentata ai cinesi della Yoko e della Ziko per una palese “copia” che si chiama SanGuoSha (Legend of Three Kingdoms) e che riprende tutti, ma proprio tutti, i meccanismi del gioco originale, per stessa ammissione degli autori (chiamiamoli così) orientali.

Mi è capitato di parlare però con persone (addirittura altri affermati autori di giochi) che dimostravano di avere le idee confuse in merito, tanto da non sapere bene da che parte stare. Cercherò quindi di riassumere il mio pensiero in proposito e le possibili conseguenze di una sentenza sfavorevole.

Quando si crea un gioco, difficilmente si tirano fuori dal cilindro meccaniche completamente originali al 100%. Non è che Bang! o Magic hanno introdotto per primi il concetto di “pesca una o più carte a inizio turno”, o “usa una carta per attaccare un giocatore che può difendersi”, o “ogni giocatore ha una serie di abilità speciali”. Certo, può capitare di sviscerare e perfezionare una meccanica solo vagamente (e parzialmente) adombrata sporadicamente in altri giochi, come per esempio il “tap” di Magic o la distanza e i ruoli seminascosti in Bang!, ma in genere un gioco si limita a mettere insieme dei tasselli più o meno preesistenti in modo innovativo e appassionante. Un gioco può essere visto come un oggetto “olistico“, nel senso che la somma delle sue parti è maggiore delle parti prese una per una, perché l’interazione fra le parti stesse (le meccaniche) genera un quid aggiuntivo che non esiste altrimenti, ed è proprio qui che risiede l’originalità di un gioco.

E’ chiaro, quindi, che non si può giudicare se un gioco è innovativo o meno solamente guardando le singole meccaniche, senza analizzare l’esperienza ludica nel suo complesso, cioè senza giocarci. Alcuni giochi, chiaramente ispirati ad altri, forniscono un’esperienza significativamente differente cambiando pochissime regole (per esempio il Tressette rispetto al Traversone, cioè il Tressette a non prendere); altri, all’opposto, formalmente sembrano avere tante piccole differenze ma poi si dimostrano solo delle stanche imitazioni.

Che cosa differenzia quindi l’imitazione dalla copia palese, dal plagio?

Un primo indizio, a dispetto di quanto detto, è analizzare le meccaniche: vero che se si cambia poco si potrebbe anche stravolgere il gioco originale, ma dipende da cosa si cambia ed è comunque tutto da dimostrare: se si copiano pedissequamente tutte delle regole di Bang!, come ha fatto SanGuoSha, senza modificare nessuna (ma proprio nessuna) delle meccaniche di fondo e limitandosi a cambiare solo le abilità di qualche carta e di qualche personaggio, beh, siamo trattando di una riambientazione poco originale e non di un gioco a sé stante. Di fondo, comunque, rimane il fatto che provando il gioco si può vedere se c’è un eventuale contributo creativo, e di che entità. Non esistono formule per fissare dei limiti oggettivi, ma questo non significa che tali limiti non esistano: in caso sarà compito del giudice, del perito, di una commissione di esperti, di un gruppo di giocatori selezionati dichiarare se il gioco è sostanzialmente uguale o diverso.

Purtroppo siamo in una specie di limbo legislativo: il gioco rientra nel copyright ma è visto solo come un procedimento; è visto come un procedimento ma non è brevettabile perché rientra nel copyright.

In questa situazione contraddittoria molti giudici si arenano sulla constatazione che non si può mettere il copyright sul lancio dei dadi o sulla pesca di una carta. Ci mancherebbe: ma è come dire che non si può brevettare una macchina perché usa viti, dadi e bulloni, oppure che non si può applicare il copyright a una canzone perché usa le note e gli strumenti musicali, che sono stati inventati già da tempo.

Prendiamo come esempio il gioco di Paolo Mori, Insoliti sospetti. Una chiara rivisitazione di Indovina chi?, sulla scia creativa dell’autore che lo vede ultimamente alle prese con la rilettura di grandi classici  (così come Augustus è una modifica della Tombola). Insoliti sospetti introduce però un contributo creativo indubitabile alle regole di Indovina chi?: fra l’altro è un gioco cooperativo, non è simmetrico, le risposte da dare si basano su criteri soggettivi, è per adulti invece che per bambini, e si può considerare una riflessione seria sugli stereotipi che affibbiamo alle persone in base alla loro apparenza fisica. Insoliti sospetti non avrebbe nulla da temere anche se la dV vincesse la causa perché da Indovina chi? prende solo lo spunto iniziale, per il resto basta giocarci per vedere che è differente, e il buon Paolo può prendersi tutti gli onori e le ricompense per aver creato qualcosa di (relativamente) nuovo e innovativo.

Ma cosa potrebbe succedere se invece la dV perdesse la causa? Ecco: un colosso del settore vede il successo di Insoliti sospetti. Non ha bisogno di mesi o anni di playtest, che sono stati condotti dall’autore e poi dall’editore originale, né di accollarsi il rischio imprenditoriale: si rivolge direttamente a un gioco che ha già conquistato il gradimento del pubblico. Ricopia diligentemente tutte le regole, pari pari, ma cambia i disegni e il nome, chiamandolo Scopri chi; fa pubblicità in TV, ne vende milioni di pezzi in tutto il mondo perché il gioco originale vale. Sì, è uguale a Insoliti sospetti, ma la potenza di fuoco del marketing fa la differenza: tutti conoscono e comprano Scopri chi, nessuno sa di Insoliti sospetti (a parte gli appassionati, notoriamente una nicchia minuscola del mercato di massa). Il sedicente autore di Scopri chi diventa ricco e famoso grazie agli sforzi altrui, alla faccia di Paolo che deve continuare a fare l’informatico per sbarcare il lunario — e che, stando così le cose, non potrà mai aspirare a fare di professione l’autore di giochi, e che ne farà molti meno di quanti non avrebbe potuto se potesse proteggere le sue creazioni. Addirittura, potrebbe essere costretto a smettere di creare giochi per dedicarsi alle attività che gli consentono di sopravvivere. L’editore di Insoliti sospettii, a sua volta, potrebbe decidere di risparmiare soldi e tempo investendo in giochi già pubblicati, che funzionano, senza ricercare nuove idee che potrebbero essere un fallimento. Se Risiko! ancora vende da cinquant’anni, perché non farne una versione leggermente rivista (o quasi uguale)? E così gli altri: il mercato diventerebbe stantio, una corsa a chi copia meglio.

Chi pensa che questo non sia uno scenario desolante si faccia avanti.

EmilianoSciarra

Sono autore di giochi, scrittore, musicista, programmatore analista e grafico pubblicitario, nell’ordine.

Il mio gioco più famoso è BANG! (dV Giochi, 2002), un gioco di carte speciali ambientato nel Far West. Il mio libro più importante finora è L’Arte del Gioco (Mursia, 2010), un saggio divulgativo di ludologia.

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