Hasbro: pubblicità regresso

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Le festività natalizie sono forse l’unico momento in cui si possono vedere anche sui grandi media le pubblicità dei giochi da tavolo oltre che ai classici giocattoli e videogiochi. Questo periodo, in Italia, è infatti uno dei pochissimi in cui giocare in famiglia è ufficialmente accettato e praticato.

Fra tutte mi ha colpito la campagna TV della Hasbro, con lo slogan “Stasera si gioca” in cui sono promossi i giochi classici della linea (Monopoly, Trivial Pursuit, Taboo, Twister, Indomimando…) assieme a qualche variazione sugli stessi temi (Triominos, Cranium, Boggle Flash). La Hasbro è un vero e proprio colosso del settore ludico e la campagna pubblicitaria è stata affidata alla DDB, una delle più grandi agenzie pubblicitarie mondiali.

Sarebbe quindi una buona notizia se non fosse che si tratta di un’occasione sprecata.

Per chi non l’avesse visto, lo spot gravita attorno a un tizio un po’ stravagante che propone a suoi parenti tutta una serie di giochi da tavolo per la serata: viene mostrato quando si allena da solo con tanto di tuta e bandana e quando poi, nelle partite reali, immancabilmente fa la figura del perdente con tutti i giochi.

Qual è il problema? Che tutto insiste sugli stereotipi peggiori del gioco e dei giocatori in Italia.

Analizziamo per bene lo spot, in cui naturalmente ogni dettaglio è attentamente voluto. Innanzitutto il protagonista (interpretato dal bravo Stefano Brusa): non è il padre, non ha una famiglia, ma è lo zio che propone agli altri di giocare. Quindi non ha la responsabilità di crescere i figli e, cosa peggiore, non viene fatto vedere che è il padre a proporre ai figli di giocare, perché in Italia non succede mai così.

Lo zio poi ha un paio di occhiali: il messaggio è che si tratta di un tipo che legge e studia molto, ma è comunque single e, dato il trucco e l’espressione studiata dell’attore, dà l’impressione di essere un po’ disadattato, insomma un “nerd”, come si dice.

Si allena ai giochi da solo come se fosse una competizione da vincere a tutti i costi: non gioca per divertirsi, socializzare e stare insieme agli altri, ma per dimostrare che è il più bravo. Nonostante tutto gioca male e perde anche contro i bambini e si dispera senza accettare la sconfitta in maniera adulta, mentre gli altri (giustamente) ridono.

Tirando le somme lo spot ci dice che chi si interessa di giochi è un tipo un po’ eccentrico, un eterno bambinone con la sindrome di Peter Pan con problemi relazionali e che tuttavia torna utile in questi giorni di festa per far divertire gli altri. Davvero un quadro desolante.

È ancora più emblematico poi perché mai la Hasbro, con tutta la sua potenza di fuoco, abbia acconsentito a fare pubblicità del genere senza volere, al contrario, lanciare messaggi completamente diversi che smontino finalmente tutti questi pregiudizi sul gioco: forse perché non ha bisogno di allargare il mercato? E dire che la stessa Hasbro a novembre ha promosso la “settimana del gioco” addirittura in 100 comuni per la promozione dei giochi da tavolo: peccato che questo spot lavori contro il resto della promozione in maniera curiosamente schizofrenica…

Guardate invece come sono diverse le pubblicità dei videogiochi, che hanno già raggiunto un’accettabilità sociale consolidata a tutti i livelli. Si vedono famiglie intere con padri, madri e figli che giocano assieme con serenità e divertimento, oppure giovani amici tutt’altro che stravaganti (anzi vestiti e curati in modo tale da trasmettere un’idea di gente dinamica, moderna e raffinata) che si sfidano e si prendono in giro in maniera matura e tranquilla, magari facendo l’occhiolino alla ragazza spigliata che, pure lei, gioca online… insomma, persone normali, anzi, modelli per persone normali.

Perché, evidentemente, nell’immaginario collettivo videogiocare ormai è normale per tutti. Giocare, no. Perfino per uno dei più grandi produttori di giochi al mondo.

EmilianoSciarra

Sono autore di giochi, scrittore, musicista, programmatore analista e grafico pubblicitario, nell’ordine.

Il mio gioco più famoso è BANG! (dV Giochi, 2002), un gioco di carte speciali ambientato nel Far West. Il mio libro più importante finora è L’Arte del Gioco (Mursia, 2010), un saggio divulgativo di ludologia.

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