E’ una delle domande più frequenti di chi vorrebbe pubblicare il proprio gioco nel cassetto. Dubbio legittimo e, visti i tempi che corrono, anche giustificato.
Il mondo dei giochi da tavolo, tuttavia, è molto particolare.
Innanzitutto, un gioco non è brevettabile. Si può brevettare, al limite, un qualche marchingegno fisico specifico, ma il regolamento e l’idea del gioco non ricadono nelle competenze dell’Ufficio Brevetti (tranne che negli USA, in qualche caso).
Questo perché per la Convenzione di Monaco il gioco rientra espressamente sotto la tutela del diritto d’autore, che in Italia è impersonata dalla SIAE, esattamente come per la musica, la pittura, la scrittura, la cinematografia e le altre forme d’arte.
Fra parentesi, il diritto d’autore esiste nel momento stesso in cui l’opera viene creata, e quindi anche senza nessun deposito alla SIAE: ma (per esempio) come fare per sapere se qualcuno sta utilizzando la vostra musica, magari guadagnandoci sopra? O per controllare che non circolino copie contraffatte della vostra? O per verificare chi la trasmette, e quanto? Per questi e per altri scopi esiste la SIAE: non per garantire il diritto d’autore, ma per la tutela di tale diritto, che è quasi impossibile da ottenere per un comune mortale.
Vale poco obiettare che nello statuto della SIAE, redatto nel lontano 1941, non sono contemplati i giochi: non sono citati neanche i software e i format televisivi, che però sono tutelati eccome al giorno d’oggi. Infatti tutti i maggiori giuristi esperti di diritto d’autore (Sirotti Gaudenzi, Marchetti, Ubertazzi) concordano nel ritenere l’elenco originale delle opere protette solo “esemplificativo” e non esaustivo.
Ora però la faccenda si ingarbuglia, perché paradossalmente non esiste nessuna sezione specifica per i giochi alla SIAE. Potete depositare separatamente il regolamento, la grafica della plancia, i disegni e i testi delle carte (tutte alla sezione OLAF, Opere Letterarie e Arti Figurative), ma il gioco è qualcosa di più, ha una natura per così dire olistica, dove la somma delle parti è maggiore delle singole parti prese una per una.
Il problema è che la creazione di giochi, a differenza della musica, della letteratura e compagnia bella, non è ancora vista come una forma d’arte, e quindi non merita di essere tutelata. In più, l’industria del gioco da tavolo non è così grande da mettere in moto azioni lobbistiche sui governi. Quando il sentire comune arriverà a riconoscere (ufficialmente, perché implicitamente c’è già) lo status di opera d’ingegno alla creazione di giochi, e/o quando il fatturato dei giochi da tavolo sarà paragonabile a quello dei videogiochi (tutelati, per la cronaca, non in quanto giochi, ma in quanto software!), allora i depositi dei giochi saranno possibili.
E’ un problema non solo italiano, ma mondiale: a parte gli Stati Uniti, come detto, neanche nella ludicamente prospera Germania la nozione di gioco è chiara e definita ed esiste il diritto d’autore ludico.
Alternative creative alla SIAE comprenderebbero spedirsi un’assicurata al proprio recapito senza aprirla (per non intaccare i sigilli postali con data) o depositare il tutto da un notaio. Tutti sistemi che, però, servono solo a dimostrare che il vostro gioco esisteva a una certa data. Ed è pochissimo se si considera che la “copia” di un gioco non è quasi mai un plagio conclamato, ma spesso un’imitazione troppo spinta verso l’originale. Ma dove finisce l’ispirazione e dove inizia la copia?
Questa è una domanda assai spinosa, soprattutto se si considera che non esiste una definizione giuridica di gioco. E’ il regolamento? Sono le meccaniche? I materiali? L'”esperienza” di gioco (qualunque cosa significhi)? Tutte queste cose assieme? E’ negli spazi di questa ambiguità che si spiegano sentenze altrimenti incomprensibili come quella, tutta italiana stavolta, che ha giudicato lo Scarabeo originale rispetto allo Scrabble, a cui è “ispirato” (eufemismo) come riconoscono tutti quelli che hanno giocato a entrambi [in realtà, come fa notare Spartaco Albertarelli che ringrazio per la segnalazione, nello specifico il giudice sentenziò che sia lo Scrabble che lo Scarabeo erano una sorta di scopiazzatura delle parole crociate, gioco chiaramente di pubblico dominio… il che è in un certo senso ancora peggio: come dire che se ci sono parole che si incrociano i giochi sono tutti uguali.].
Fin qui le cattive notizie. Ma non tutto è perduto. Oltre a queste stranezze, il mondo del gioco da tavolo è popolato anche da tutta una serie di attori estremamente corretti e leali. Gli editori non hanno nessuna intenzione di plagiare il gioco di qualcun altro, anche perché ne avrebbero un danno d’immagine non ripagato dalle percentuali che dovrebbero corrispondere all’autore originale (in genere sul 2% del prezzo al pubblico, cioè attorno al 5% del prezzo che fa l’editore ai suoi rivenditori).
Gli altri autori, poi, sono persone molto disponibili e propositive, più intente ad aiutarsi e darsi consigli che a rubarsi le idee l’un l’altro. Chiunque abbia partecipato a una convention per autori o a un concorso ludico se ne sarà reso conto.
Certo c’è qualche eccezione che conferma la regola, come lo scandaloso X-Wing della Fantasy Flight che non ha voluto riconoscere ad Andrea Angiolino la paternità dell’idea, o i plagi cinesi di SanGuoSha di cui ho parlato nell’altro post, ma in generale posso testimoniare che da questo punto di vista l’ambiente, forse anche per la sua ristrettezza, è caratterizzato da una competizione che assomiglia spesso a una collaborazione (e spesso vi sfocia).
In definitiva, quindi: non abbiate timore di nessun tipo a far vedere o spedire il vostro gioco alle case editrici, e fidatevi dei loro consigli perché se sono ancora in vita è perché sanno fare il loro mestiere che è capire quali giochi funzionano e venderli. Un giudizio sballato può sempre capitare ma è molto, molto raro.
E se qualcuno che legge queste righe andrà mai al governo… beh, ha già un bel progetto di riforma del diritto d’autore da presentare!